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Acqua del Pertusillo inquinata.

L’Agri è un fiume che scorre interamente in Basilicata, e che dà il nome alla valle omonima.È il secondo della regione per lunghezza con 136 km di corso ma il primo per ricchezza d’acque.

In Basilicata, al contrario di quel che si pensa, la risorsa più importante non è il petrolio ma l’acqua. Ma è una risorsa che, proprio a causa del petrolio, rischia di essere compromessa. Lo dicono, per esempio, gli studi portati avanti dalla professoressa Albina Colella. Le sue acque vengono usate per scopo irriguo e potabile, sia in Lucania che in Puglia, ma nel contempo è ubicato nell’area del più grande giacimento di idrocarburi in terraferma e dista circa 8 chilometri da un centro di desolforazione dell’olio greggio, il Centro Oli di Viggiano. Il lago si trova in una zona ricca di risorse idriche, con fertili aree agricole, in gran parte nel Parco Nazionale della Val d’Agri, ma che ospita 25 pozzi petroliferi attivi. Nel lago del Pertusillo scaricano 3200 tubature che riversano materiale inquinante; il dato viene fornito dall’Arpab, gli scarichi sono sia privati che pubblici. L’acqua del Pertusillo è acqua che “scotta”.

Ogni giorno 2.658.861 uomini, donne, bambini bevono l’acqua proveniente dal lago Pertusillo. La popolazione delle province di Bari, Taranto e Lecce. Con la stessa acqua, vengono irrigati i campi della Basilicata che producono alcune tra le eccellenze dell’agricoltura italiana: vino doc e biologico, olio, fagioli, peperoni, frutta.Accade che, nel 2011, il lago inizia a puzzare. La brina del mattino, segno di una notte che se ne va e di un nuovo giorno che nasce, brucia le piante su cui si poggia, appena viene toccata dai primi raggi del mattino. È acida. Accade che l’uva, quando la si mette in bocca, sa di petrolio. Anzi, in molti nemmeno riescono ad assaggiarla: è già tanto se si riesce ad arrivare al raccolto. Accade che la pera campanella, peculiarità lucana, non riesce più a maturare sull’albero, come dovrebbe, perché cade prima. E accade che le carpe, pesci che vanno a cercare il cibo tra i sedimenti del fondale, muoiono.

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L’Eni, tramite Enrico Cingolani, vice presidente esecutivo per la regione Europa meridionale e orientale, ha sostenuto, sempre nel 2012: «Un sistema di controllo puntuale ed efficiente è la migliore assicurazione sui nostri investimenti, la nostra forma di tutela più forte. Stiamo per consegnare alla Regione le chiavi di una rete di monitoraggio unica in Italia e probabilmente in Europa, capace di verificare non solo la qualità dell’aria, ma anche dell’acqua e degli ecosistemi, che verifica la soglia del rumore e quella del cattivo odore, vigilando anche su eventuali rischi».

 Nel 2011, però, l’Ehpa (Associazione per la tutela della salute e dell’ambiente di Basilicata) in collaborazione con l’Oipa (Guardie eco-zoofile di Potenza) ha compiuto delle analisi sui sedimenti del lago, provando a dare delle risposte. I risultati sono stati sconcertanti: nelle acque le concentrazioni di idrocarburi superano i limiti di riferimento: esse misurano fino a 6.458 microgrammi/litro, e cioè sono fino a 646 volte superiori al limite di dieci microgrammi/litro fissato dall’Istituto superiore di Sanità. Non solo. È stata trovata anche la presenza di bario, una sostanza altamente inquinante, potente veleno per gli organismi, usata dalle industrie petrolifere per i fanghi di trivellazione ad alto peso specifico.

Giuseppe Di Bello, tenente della polizia provinciale di Potenza, che aveva già condotto autonomamente delle indagini sullo stato delle acque inquinate del Pertusillo, è stato condannato a due mesi e venti giorni di reclusione, per aver diffuso quelle informazioni. «Abbiamo scoperto l’incidenza dell’attività estrattiva petrolifera sull’invaso, di estrema importanza per la salute pubblica dei cittadini lucani, ma anche pugliesi. Abbiamo scoperto che i dati sull’inquinamento non venivano resi pubblici. Abbiamo trovato idrocarburi, metalli pesanti e alluminio, in quantità tale da provocare artificialmente anche l’insorgenza del morbo di Alzheimer. Abbiamo trovato alifatici clorurati cancerogeni, che come dice la stessa parola sono cancerogeni, piombo, il bario. Abbiamo trovato tutta una serie di elementi che non sono originati dallo sgretolamento delle rocce dentro l’invaso, non sono prodotti naturali, ma ci sono arrivati perché c’è un’attività intensiva di estrazione petrolifera e tutto ciò che ne deriva, perché per arrivare ad estrarre ci vogliono i fanghi e questi fanghi possono insinuarsi nelle falde acquifere», sono le dichiarazioni dello stesso Di Bello in un’intervista rilasciata alla web tv “Ntr24”, che gli sono costate, oltre alla sospensione dal servizio e dalla paga, anche il trasferimento in un museo.

Secondo le analisi effettuate, presentate nella stessa relazione, «nei sedimenti, in sette campioni su undici la quantità di idrocarburi supera il limite di legge preso come riferimento, e arriva fino a 559 milligrammi/chilo, cioè fino a nove volte il limite».

I provvedimenti che sono stati presi dalle autorità competenti in seguito alle analisi descritte e alla relazione presentata, sono stati esemplari: niente. Anzi, meglio specificare. L’Arpab, Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente in Basilicata, ha compiuto dei rilevamenti. Quindici anni dopo l’inizio delle trivellazioni. E successivi alle indagini portate avanti da Di Bello e dai geologi. Sul sito dell’Arpab, infatti, i documenti disponibili sono fermi al 2012.

Siamo solo all’inizio. Le prime rilevazioni sono di pochi anni fa, così le prime denunce. Secondo le autorità competenti, il problema non sussiste. Purtroppo, i dati dimostrano il contrario, e da quattro anni a questa parte i Pugliesi continuano a bere l’acqua del Pertusillo e i Lucani a irrigarci i campi. Il vero timore è avere di fronte un’Ilva 2.0 o, peggio, una nuova terra dei fuochi.

 

 

 

acquedotto
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